La burocrazia by Guido Melis

La burocrazia by Guido Melis

autore:Guido, Melis [Melis, Guido]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Politica, Farsi un'idea
ISBN: 9788815323996
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2015-10-14T22:00:00+00:00


Continuità e cambiamento: dagli anni Settanta agli Ottanta

Alla fine degli anni Settanta (dato 1978) il totale dei dipendenti dello Stato aveva raggiunto e superato i 2 milioni (esattamente 2.157.717, tra ministeri e aziende autonome, esclusi gli enti pubblici). Sarebbero stati 2.274.602 nel 1983. Ad essi andavano ad aggiungersi le burocrazie locali e regionali: al 1o gennaio 1983, 643.523 dipendenti. E naturalmente il personale dei grandi enti pubblici cosiddetti «parastatali»: che, incluso l’Enel ed esclusi però gli enti economici e le partecipazioni statali, era di 1.095.216 dipendenti.

Di fronte a un simile esercito di colletti bianchi qualcuno, dopo il Sessantotto e l’autunno caldo del 1969, aveva parlato di «proletarizzazione dei ceti medi». La base di questa definizione era nell’analisi delle retribuzioni del pubblico impiego poste a confronto con quelle dell’industria e del terziario privato: la tendenza era, o almeno così si riteneva, all’avvicinamento delle condizioni salariali, all’impoverimento dei ceti medi e dunque anche all’integrazione dei modelli di vita e dei bisogni. La teoria era in parte confortata dal radicalismo che nei primi anni Settanta caratterizzava le lotte sindacali anche nel pubblico impiego. Negli uffici pubblici l’onda lunga del Sessantotto sembrava innescare sconvolgenti mutamenti culturali: cambiava, intanto, lo stile delle rivendicazioni, che per forme di protesta e parole d’ordine tendevano a imitare i modi della mobilitazione operaia e studentesca; e cambiava in modo ancora più sensibile quella che, con un’espressione forse troppo generica, si potrebbe definire l’«antropologia dell’impiegato pubblico»: il suo modo di comportarsi dentro e fuori l’ufficio, la sua partecipazione all’esperienza sociale e politica, il suo stile di vita. Se nell’Italia degli anni Cinquanta era ancora possibile distinguere il funzionario pubblico per le sue abitudini e per i suoi codici di comportamento sociale, per il suo modo di vestire e il suo habitat, ciò non sarebbe più stato possibile negli anni Settanta: nel generale processo di omologazione dei ceti medi anche l’ultimo erede di Monsù Travet finiva per smarrire le caratteristiche della sua condizione professionale e sociale separata. Un inedito impiegato-massa sembrava avanzare sulla scena, al fianco di quell’operaio-massa che i teorici della proletarizzazione vedevano (o volevano vedere) protagonista della lotta di classe degli anni Settanta.

Un altro potente fattore di novità fu l’inizio del cosiddetto «processo di femminilizzazione del pubblico impiego» (circa il 44% degli occupati nel 1974, considerando Stato, enti locali ed enti pubblici; il 38% dei dipendenti ministeriali secondo una statistica del 1975). Il fenomeno si presentava con caratteri differenti a seconda dei livelli gerarchici. Secondo i dati della Ragioneria generale del 1975 le donne dirigenti nell’amministrazione per ministeri erano appena 188 (142 primi dirigenti e 46 dirigenti superiori, nessun dirigente generale, nessun prefetto, nessun ambasciatore), contro 5.361 di sesso maschile (tra i quali 352 dirigenti generali, 1.689 dirigenti superiori, 3.177 primi dirigenti, 115 prefetti, 28 ambasciatori). Ma seppure restavano discriminate ai vertici, le donne erano tuttavia già divenute alla metà degli anni Settanta una componente centrale dell’universo dell’impiego statale (541.407 donne nei ministeri nel 1975: il 38% del totale, come si è appena visto, contro poco più del 20% nel 1953).



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